Noi avevamo quello pendente
di SKA su La dimanche des crabes il 5 Novembre 2009, 21:35
Quando eravamo al liceo il nostro Gesù voleva suicidarsi.
In questi giorni in cui si sente parlare ancora di crocifissi e feticci religiosi utili alla devozione incondizionata – è pleonastico, lo so – mi è tornato in mente un periodo del liceo classico-linguistico in cui difendevamo a spada tratta quel pezzetto di legno e plastica appeso al muro.
Non era una questione religiosa, tanto meno etica o che fosse in difesa di quella che adesso viene ostentata come “cultura” o “tradizione”. O meglio sì. Era un modo un po’ cazzone per preservare intatta la cultura e la nostra personale eco-storia creatasi all’interno delle quattro mura di un’aula fatiscente di liceo.
Ci tiravamo gli astucci. Quando sei al liceo non c’è un motivo preciso per cui si fa qualcosa, la fai e basta. Noi ci tiravamo gli astucci e spesso volavano dalla finestra, com’è ovvio. Ho fatto interi quadrimestri con matite a metà, penne a metà, evidenziatori a metà ed astucci logori. Ma non importava – non a me perlomeno – l’importante era lì, in quel momento. Successe che un lancio mal calibrato finì sul corpo già torturato del nostro Cristo in croce. Cadde e si ruppe. Nella nostra ingenua sensibilità adolescenziale decidemmo di raccoglierlo, aggiustarlo e rimetterlo lì dove stava. Niente doveva cambiare. In quegli anni ci si aggrappa a tutte quelle poche sicurezze che si hanno attorno.
Mancava un pezzo. Il gancio di supporto posteriore a quello strumento di tortura in scala ridotta era ormai irrecuperabile ed allora, pur di mantenere intanto il nostro feticcio personale, decidemmo di appoggiarlo anziché appenderlo. Appoggiare una mini-croce con Cristo annesso su un gancio ad “L” portò a quello che ribattezzammo il Cristo Pendente. Se ne stava appoggiato lì sulla parete, su quel gancio ad “L”, con una pendenza di circa 30° in avanti. Con la faccia guardava il pavimento. Non più innanzi a sé con la spavalderia con cui di solito viene raffigurato Gesù. Guardava a terra, pendendo.
Era brutto abbastanza brutto a vedersi in verità. Ma anche buffo. Ed era il nostro feticcio personale. Tutta questa serie di motivazioni erano più forti di qualsiasi altra, per cui rimase. Era lì, faceva parte dell’arredamento, del nostro piccolo mondo sicuro e quel che contava più di tutti era preservarlo il più possibile.
E vi rimase intatto ed impassibile per lungo tempo finché non arrivò Madame Beau-qualcosa – insegnante di francese – con la sua arroganza nazi-laica a toglierlo senza alcun barlume di rispetto. Né per noi né per lui. Io mi alzavo e lo rimettevo al suo posto. Lei lo toglieva, io lo rimettevo. Lei lo gettava nell’armadio, io lo rimettevo. Arrivò anche a lanciarlo fuori dal corridoio, credo per stizza, ed io senza mai addurre nessuna motivazione lo rimettevo al suo posto. Parafrasando Bill Hicks dissi a Madame Beau-qualcosa che se fossimo stati in Francia al posto della croce avremmo potuto appendere una ghigliottina.
Madame Beau-qualcosa rivendicava il diritto alla laicità in una struttura pubblica. Noi rivendicavamo il diritto a preservare la posizione di un oggetto che era parte integrante della nostra micro-cultura. Ci difendevamo dall’arroganza autoritaria impostaci, più che qualche sacra tradizione o ancora peggio le nostre radici cristiane. Molti di noi non credevano in Dio, altri sì, la maggior parte non credeva in niente. Ma non permettevamo a nessuno di imporci cosa tenere o non tenere appeso a casa nostra.
Se ce l’avesse chiesto con cortesia, spiegandoci il suo differente punto di vista, l’avremmo tolto il crocifisso.
Ed avremmo capito perché non avrebbe dovuto starci, su quella parete.