Dall’economia dell’attenzione all’economia della dipendenza: come la dopamina sta riscrivendo il capitalismo
di SKA su Cultura, New Media il 6 Febbraio 2025, 21:16

Per anni si è parlato di economia dell’attenzione, un modello in cui aziende e piattaforme digitali competono per catturare il tempo e l’interesse delle persone. Il mantra era chiaro: più tempo sullo schermo, più pubblicità visualizzata, più soldi incassati. Un meccanismo semplice, ma anche ingenuo nella sua spiegazione.
Oggi non basta più dire che le aziende vogliono l’attenzione degli utenti. Quello che davvero cercano è un comportamento ripetitivo e compulsivo. Vogliono trasformare la presenza su una piattaforma, il consumo di un prodotto o l’acquisto di un servizio in un’abitudine radicata. E qui entra in gioco la dopamina, il neurotrasmettitore della ricompensa, quello che ci spinge a desiderare, ripetere, cercare sempre di più.
Il mercato non è più costruito per attirare gli utenti, ma per trattenere e fidelizzare attraverso meccanismi di dipendenza. Non è più solo un’economia dell’attenzione. È un’economia della dipendenza.
La dopamina come moneta di scambio
Per anni il petrolio è stato definito la risorsa più preziosa al mondo. Poi sono arrivati i dati, celebrati come il nuovo oro dell’era digitale. Ma c’è qualcosa di ancora più strategico: la dopamina.
La dopamina è fondamentale per il piacere e la motivazione, ma il suo vero potere sta nell’anticipazione della ricompensa. Non è tanto il premio finale a creare dipendenza, ma l’attesa del piacere. È lo stesso principio che spinge a tirare la leva di una slot machine, a scrollare all’infinito il feed di un social o a rimanere incollati ai videogiochi per ore.
Uno studio della Stanford University ha dimostrato come il rilascio di dopamina nel cervello segua una logica di ricompensa variabile (fonte). Il piacere massimo non arriva quando otteniamo qualcosa, ma quando la possibilità di ottenerlo è imprevedibile. Le piattaforme digitali, i fast food e persino la politica hanno costruito interi modelli di business su questa dinamica.
Dalla tavola allo smartphone: il ciclo della dipendenza
Le industrie più potenti del mondo usano la dopamina come leva per creare necessità, mantenerle e poi fornire continuamente una soluzione. Non è un fenomeno limitato ai social media: riguarda cibo, farmaci, intrattenimento e persino la sanità.
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industria alimentare – Le multinazionali non progettano prodotti per essere nutrienti, ma per essere irresistibili. Il concetto di “bliss point”, studiato negli anni ‘70 dallo scienziato Howard Moskowitz, dimostra che gli alimenti ultra-processati vengono creati per stimolare il massimo piacere senza portare sazietà (fonte). Il risultato? Le persone continuano a mangiare. Un studio del 2022 ha rivelato che il 20% degli adulti americani è dipendente dal cibo ultra-processato (fonte).
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social media e tecnologia – Se un tempo si parlava di nomofobia (la paura di rimanere senza telefono), oggi si dovrebbe parlare di dipendenza sistematica da interazione digitale. Gli utenti adulti ricevono in media 46 notifiche al giorno, mentre per gli adolescenti il numero sale a 237 (fonte). TikTok è stato accusato di creare dipendenza in meno di 35 minuti di utilizzo (fonte). Il suo algoritmo non è più un semplice strumento di personalizzazione: è stato definito un fentanil digitale per la sua capacità di agganciare psicologicamente gli utenti.
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industria farmaceutica e sanitaria – La dipendenza indotta dal cibo spinge i consumatori direttamente verso l’industria farmaceutica. Gli alimenti ultra-processati aumentano obesità e diabete, creando la domanda per farmaci come Ozempic, che agiscono direttamente sui livelli di dopamina per ridurre il desiderio di cibo (fonte).
Dalla dipendenza biologica a quella politica
La dopamina non si attiva solo con piaceri fisici, ma anche con emozioni forti come indignazione, rabbia e tribalismo.
I social media hanno creato ambienti in cui la divisione e il conflitto generano engagement. L’algoritmo amplifica i contenuti che suscitano forte reazione emotiva, perché più un post genera discussione (positiva o negativa), più viene mostrato. Questa logica ha impatti politici devastanti:
- il tribalismo digitale rafforza la divisione tra gruppi opposti
- l’odio diventa un motore di consenso politico
- la paura e la sfiducia generano più click di qualsiasi altra emozione
Uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato che la diffusione della disinformazione politica segue le stesse dinamiche dei social media: i contenuti più divisivi hanno il tasso di diffusione più alto (fonte).
Non è un caso che i leader populisti usino espressioni sempre più estreme. Più l’affermazione è scioccante, più genera reazioni, e più l’algoritmo la premia. Questo porta a un’escalation retorica in cui il dibattito politico diventa un gioco a chi grida più forte.
Cosa possiamo fare?
Il problema della dipendenza economica non si risolve facilmente. Ma alcune soluzioni sono già sul tavolo:
- regolamentazione degli algoritmi – l’unione europea sta cercando di imporre trasparenza ai social network (fonte).
- educazione al consumo consapevole – insegnare alle persone a riconoscere le manipolazioni dietro le interfacce digitali è cruciale.
- controllo dell’industria farmaceutica e alimentare – tassare gli alimenti ultra-processati o limitarne la pubblicità, come si fa con tabacco e alcol.
Capire il gioco per uscirne
L’economia della dipendenza non è un incidente. È una strategia calcolata. Se prima l’obiettivo era attirare l’utente, oggi è renderlo dipendente. Il primo passo per sottrarsi a questo ciclo è riconoscere le dinamiche in gioco.
Se l’attenzione era la valuta della prima era digitale, la dopamina è la valuta del futuro. E finché il mercato sarà progettato per stimolare compulsioni invece che soddisfare bisogni, il vero profitto non sarà vendere prodotti, ma creare consumatori incapaci di smettere.
Fonti: