“Come ci si sente subumani”: il genocidio contro i palestinesi a Gaza secondo Amnesty International
di SKA su Notizie Commentate il 5 Dicembre 2024, 11:35
Una tragedia umanitaria senza precedenti
Dall’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza è stata teatro di una devastante offensiva militare che, secondo Amnesty International, presenta tutte le caratteristiche legali del genocidio, come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1948. Il rapporto “You Feel Like You Are Subhuman: Israel’s Genocide Against Palestinians in Gaza” documenta in modo agghiacciante gli atti commessi contro la popolazione palestinese, sostenendo che tali azioni non solo violano i diritti umani, ma configurano un crimine internazionale di estrema gravità.
Attraverso testimonianze, analisi di immagini satellitari e fonti ufficiali, Amnesty International denuncia come l’offensiva israeliana non abbia solo mirato a colpire Hamas, ma abbia sistematicamente inflitto sofferenze fisiche, mentali e condizioni di vita disumane a milioni di palestinesi. Il blocco totale, le evacuazioni forzate, i bombardamenti indiscriminati e la distruzione delle infrastrutture essenziali hanno trasformato Gaza in un luogo insostenibile per la sopravvivenza umana.
Il Genocidio secondo il diritto internazionale
La Convenzione sul Genocidio del 1948 definisce il genocidio come “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Questa definizione include atti quali l’uccisione di membri del gruppo, l’inflizione di gravi sofferenze fisiche o mentali, e la creazione deliberata di condizioni di vita che ne comportino la distruzione fisica.
Il rapporto di Amnesty evidenzia come Israele abbia violato sistematicamente queste disposizioni. Tra le prove più significative ci sono le dichiarazioni pubbliche di funzionari israeliani, che dimostrano un atteggiamento di disumanizzazione e incitamento alla violenza. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant, il 9 ottobre 2023, ha dichiarato: “Stiamo combattendo contro bestie umane”, mentre il Brigadier Generale Yogev Bar Sheshet, il 4 novembre, ha affermato che Gaza sarebbe diventata “terra bruciata”.
Queste dichiarazioni non sono eventi isolati, ma parte di una narrativa consolidata che rafforza la disumanizzazione dei palestinesi. L’uso di termini come “animali” o “bestie” riduce i palestinesi a una condizione subumana, giustificando implicitamente atti di violenza estrema. Questo linguaggio, amplificato dai media israeliani, crea un clima in cui le uccisioni di massa e la distruzione di infrastrutture civili vengono percepite come necessarie e inevitabili.
Gli atti genocidi: uccisioni di massa e sofferenze inflitte
L’offensiva israeliana ha causato oltre 42.000 morti palestinesi, inclusi 13.000 bambini, entro ottobre 2024. Amnesty documenta attacchi indiscriminati contro aree densamente popolate, come ospedali, scuole e mercati, che hanno provocato migliaia di vittime civili. Questi atti non solo violano il diritto umanitario internazionale, ma soddisfano anche i criteri di genocidio, poiché mirano a distruggere fisicamente la popolazione palestinese.
La distruzione sistematica di infrastrutture essenziali ha ulteriormente aggravato la crisi umanitaria. Il rapporto descrive come ospedali siano stati colpiti deliberatamente, lasciando migliaia di feriti senza cure mediche. La distruzione delle reti idriche e fognarie ha creato un ambiente insalubre, esponendo milioni di persone a malattie letali. Le famiglie, costrette a vivere in tende sovraffollate, soffrono di malnutrizione e traumi psicologici profondi.
Questi atti costituiscono genocidio non solo per la loro brutalità, ma perché mirano esplicitamente alla distruzione fisica e culturale del gruppo palestinese. Simili strategie sono state riscontrate in altri genocidi del XX secolo, come in Ruanda nel 1994, dove le infrastrutture vitali furono deliberatamente distrutte per accelerare l’annientamento del gruppo bersaglio.
La storia: dall’occupazione a oggi
Per comprendere l’attuale crisi, è essenziale collocarla nel più ampio contesto storico del conflitto israelo-palestinese. Dal 1948, anno della fondazione dello Stato di Israele, i palestinesi hanno subito una progressiva espropriazione di terre, la distruzione di villaggi e l’espulsione forzata. L’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza dopo la guerra del 1967 ha consolidato un sistema di controllo che Amnesty descrive come apartheid.
Questo sistema di oppressione ha preparato il terreno per atti genocidi. La Striscia di Gaza, con una popolazione di oltre due milioni di persone, è stata trasformata in una prigione a cielo aperto. Il blocco imposto da Israele dal 2007 limita l’accesso a cibo, acqua, carburante e medicinali, creando condizioni di vita insostenibili. Amnesty sottolinea che il genocidio non è un evento isolato, ma l’apice di un processo sistematico di oppressione.
Il contesto dell’apartheid
L’apartheid, come definito dallo Statuto di Roma, è un crimine contro l’umanità che prevede la dominazione sistematica di un gruppo razziale su un altro. Amnesty evidenzia che Israele ha implementato un tale sistema contro i palestinesi, sia in Israele che nei Territori Occupati Palestinesi.
L’apartheid non è solo un crimine in sé, ma crea le condizioni ideali per il genocidio. La segregazione razziale, la negazione dei diritti fondamentali e la disumanizzazione dei palestinesi sono elementi che legittimano e preparano il terreno per atti di violenza estrema. In questo contesto, le azioni di Israele a Gaza rappresentano non solo una continuazione dell’apartheid, ma un’escalation verso la distruzione fisica della popolazione palestinese.
La responsabilità internazionale
Nonostante le prove schiaccianti, la comunità internazionale è rimasta largamente passiva. Questo immobilismo è in parte attribuibile agli interessi geopolitici di Stati Uniti ed Europa, che hanno storicamente sostenuto Israele. Gli Stati Uniti, in particolare, forniscono miliardi di dollari in aiuti militari annuali, rafforzando la capacità di Israele di perpetrare crimini contro i palestinesi.
Il rapporto di Amnesty chiede misure urgenti per ritenere Israele responsabile, tra cui:
- L’imposizione di sanzioni economiche.
- La sospensione della vendita di armi a Israele.
- Il deferimento dei responsabili alla Corte Penale Internazionale.
L’incapacità di agire non solo prolunga la sofferenza a Gaza, ma rappresenta un fallimento globale nel difendere i principi fondamentali del diritto internazionale. Se ignorato, questo genocidio segna un pericoloso precedente che mette a rischio i diritti umani ovunque.
Le reazioni al rapporto: Israele e la comunità internazionale
Il rapporto di Amnesty International ha suscitato forti reazioni, sia da parte del governo israeliano che da esponenti della comunità internazionale. Da parte di Israele, il governo ha respinto categoricamente le accuse, definendo il rapporto come “un documento di propaganda anti-israeliana privo di fondamento”. Il Ministro degli Esteri israeliano ha dichiarato che “Amnesty International ha perso ogni credibilità e si dedica a diffondere bugie e distorsioni contro l’unico stato democratico del Medio Oriente”. Israele sostiene che le sue operazioni militari a Gaza siano una risposta legittima agli attacchi di Hamas e che ogni azione sia stata condotta nel rispetto del diritto internazionale.
La posizione del governo israeliano è stata ulteriormente supportata da alcuni alleati internazionali, in particolare dagli Stati Uniti, che hanno espresso “forti preoccupazioni” sul linguaggio utilizzato nel rapporto, pur senza respingere esplicitamente tutte le accuse. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha sottolineato che Israele ha il diritto di difendersi dagli attacchi di Hamas, ma ha anche ribadito l’importanza di proteggere i civili durante le operazioni militari.
Al contrario, altri paesi e organizzazioni hanno accolto il rapporto con maggiore apertura. La Norvegia e l’Irlanda, attraverso i loro rappresentanti alle Nazioni Unite, hanno espresso “grave preoccupazione” per la situazione a Gaza, richiedendo un’indagine indipendente sui crimini segnalati da Amnesty. Anche figure di spicco del mondo accademico e delle organizzazioni per i diritti umani, come il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Territori Occupati, hanno definito il rapporto un “documento cruciale” che non può essere ignorato.
La spaccatura nella comunità internazionale riflette un problema più ampio: mentre alcuni stati privilegiano i loro legami geopolitici con Israele, altri richiedono con forza che venga garantita giustizia per le vittime palestinesi. Questo dualismo contribuisce a una paralisi diplomatica che rende ancora più difficile affrontare la crisi in modo efficace e risolutivo.
Un appello alla giustizia
Il rapporto di Amnesty International rappresenta un campanello d’allarme per la comunità globale. La tragedia che si sta consumando a Gaza non è solo una questione di diritti umani, ma un test cruciale per l’efficacia del diritto internazionale. Ignorare questa crisi significa accettare un mondo in cui il genocidio può essere perpetrato con impunità.
L’urgenza di agire è più alta che mai. Non si tratta solo di salvare vite, ma di riaffermare i principi fondamentali su cui si basa la dignità umana. Se la comunità internazionale continuerà a guardare altrove, l’umanità tutta porterà il peso di questo fallimento.