Referendum 8-9 giugno 2025: guida ai cinque quesiti su lavoro e cittadinanza
di SKA su ControInformazione il 28 Aprile 2025, 22:17

Perché si vota
L’8 e 9 giugno gli elettori italiani troveranno in cabina cinque schede. Non eleggeranno parlamentari né sindaci: dovranno dire Sì o No alla cancellazione di altrettante norme oggi in vigore. Quattro riguardano il mercato del lavoro – tutte figlie o derivate del Jobs Act del 2015 – e sono state promosse dalla CGIL, che ha raccolto oltre quattro milioni di firme. Il quinto interviene sulla cittadinanza e porta la firma di +Europa con una rete di associazioni civiche.
Il referendum è abrogativo (art. 75 Cost.): vince la maggioranza dei voti validi, ma conta anche il quorum – deve andare alle urne almeno il 50 % + 1 degli aventi diritto. Dopo il via libera della Corte costituzionale (20 gennaio 2025) e i decreti di indizione pubblicati in «Gazzetta Ufficiale» n. 75/2025, la data è stata fissata all’ultima tornata utile prima dell’estate.
Che cos’è il referendum dell’8-9 giugno
- Che tipo di voto? Si tratta di cinque referendum abrogativi (art. 75 Cost.). Ogni scheda propone di cancellare – del tutto o in parte – una norma oggi in vigore.
- Quando si vota? Domenica 8 giugno (7-23) e lunedì 9 giugno (7-15). Serve il quorum: deve recarsi alle urne almeno il 50 % + 1 degli aventi diritto.
- Chi li ha promossi?
- Quesito 5 (cittadinanza) – raccolta firme guidata da +Europa (Riccardo Magi) con Possibile, PSI, Radicali, Rifondazione, molte associazioni (637 000 firme).
- Quesiti 1-4 (lavoro) – promossi dalla CGIL (oltre 4 milioni di firme).
- Perché adesso? Il 20 gennaio 2025 la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibili i cinque quesiti (ha bocciato invece il referendum sull’autonomia differenziata). Con decreti del Presidente della Repubblica 31 marzo 2025, pubblicati in «G.U.» n. 75/2025, è stata fissata la data dell’8-9 giugno.
- Di che cosa parlano?
- 1-4 – licenziamenti illegittimi, indennità nelle piccole imprese, contratti a termine, responsabilità negli appalti (tutti punti toccati dal Jobs Act 2015).
- 5 – tempi per chiedere la cittadinanza italiana.
Quesito per quesito: che cosa si vota, che cosa succede se vince il “Sì” o il “No”
Quesito 1 – Abolizione delle tutele crescenti nei licenziamenti illegittimi
Norma nel mirino: art. 3 d.lgs. 23/2015 (Jobs Act) che, per i lavoratori assunti dal 2015, sostituisce la reintegrazione con un’indennità economica crescente in base all’anzianità.
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Se voti “Sì” (abroghi) → cade il regime delle tutele crescenti; per i licenziamenti senza giusta causa tornerebbe la reintegrazione (o l’indennizzo senza tetto minimo/massimo) come prima del Jobs Act, anche per chi è stato assunto dopo il 2015.
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Se voti “No” (mantieni) → resta l’attuale modello: niente reintegra automatica, indennità monetaria da 3 a 24 mensilità.
Fronti in campo | Argomenti |
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Favorevoli al “Sì” CGIL, opposizioni di sinistra (PD–Alleanza Verdi/Sinistra), sindacati di base |
«Il Jobs Act ha depotenziato il reintegro: occorre tornare a un sistema di garanzie forti per scoraggiare i licenziamenti arbitrari». |
Contrari (voto “No”) Confindustria, centro-destra (FdI, Lega, FI), gran parte delle associazioni d’impresa |
«Ripristinare la reintegra automatica aumenterebbe l’incertezza giuridica e frenerebbe gli investimenti; l’indennità monetaria è già un deterrente sufficiente». |
Quesito 2 – Licenziamenti illegittimi nelle imprese fino a 15 dipendenti
Norma nel mirino: art. 9 d.lgs. 23/2015 che fissa un tetto (max 6 mensilità) all’indennizzo nelle piccole aziende.
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“Sì” → il tetto verrebbe eliminato; il giudice potrebbe stabilire liberamente l’indennità, come avviene nelle imprese più grandi. Giudice libero di fissare l’indennizzo, senza massimale “mini-azienda”.
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“No” → rimane il massimale di 6 mensilità.
Fronti in campo | Argomenti |
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Favorevoli al “Sì” CGIL, piccoli sindacati, associazioni di giuslavoristi |
«Il tetto di 6 mensilità crea lavoratori di “serie B”. Stessa tutela per tutti, a prescindere dalla dimensione aziendale». |
Contrari Confartigianato, CNA, centro-destra |
«Costi imprevedibili metterebbero a rischio la sopravvivenza di migliaia di micro-imprese. Necessario un limite per evitare risarcimenti sproporzionati». |
Quesito 3 – Contratti a termine (durata massima, proroghe, causali)
Norme nel mirino: art. 21 d.lgs. 81/2015 e modifiche successive, che consentono contratti senza causale fino a 12 mesi e proroghe fino a 24.
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“Sì” → si abroga la disciplina “flessibile” del Jobs Act: tornerebbe l’obbligo di indicare una causale fin dall’inizio e si ridurrebbero le proroghe possibili.
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“No” → resta la disciplina odierna (contratto a termine “acausale” fino a 12 mesi, prorogabile entro 24).
Fronti in campo | Argomenti |
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Favorevoli al “Sì” CGIL, sinistra parlamentare, associazioni precari |
«L’acausalità favorisce precarietà cronica. Tornare alle causali riduce l’abuso di contratti-ponte e incentiva assunzioni stabili». |
Contrari Confcommercio, turismo, Lega e FI |
«Il mercato richiede flessibilità. Nuovi vincoli sulle causali renderebbero più difficile assumere nei settori stagionali e nei servizi». |
Quesito 4 – Responsabilità solidale negli appalti per infortuni sul lavoro
Norma nel mirino: art. 26 comma 4, d.lgs. 81/2008 (come modificato dal 2009) che esclude la responsabilità solidale del committente per i danni da “rischi specifici” dell’appaltatore.
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“Sì” → si reintroduce la responsabilità solidale: il committente risponderebbe insieme all’appaltatore per gli infortuni sul cantiere.
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“No” → rimane l’esclusione: il committente non è responsabile per quei danni.
Fronti in campo | Argomenti |
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Favorevoli al “Sì” Sindacati confederali (unitariamente), M5S, associazioni per la sicurezza sul lavoro |
«Il committente deve rispondere degli infortuni: solo così investe davvero in prevenzione e sceglie appaltatori affidabili». |
Contrari ANCE (costruttori), FdI, Lega |
«La responsabilità oggi è già dell’appaltatore diretto; estenderla al committente creerebbe contenziosi a cascata e costi extra, scoraggiando grandi opere». |
Quesito 5 – Cittadinanza italiana: da 10 a 5 anni di residenza
Norma nel mirino: art. 9 lett. f, legge 91/1992 (10 anni di residenza legale per i non-UE).
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“Sì” → la soglia scenderebbe a 5 anni, dimezzando l’attesa per chiedere la cittadinanza.
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“No” → resta l’attuale requisito di 10 anni.
Fronti in campo | Argomenti |
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Favorevoli al “Sì” +Europa, PD, AVS, molte Ong (ASGI, Arci), parte del M5S |
«Cinque anni sono uno standard europeo. Chi vive, lavora e paga le tasse in Italia deve poter diventare cittadino in tempi ragionevoli». |
Contrari (voto “No”) Lega, FdI, parte di FI, movimenti identitari |
«La cittadinanza non è un premio a punti: accelerare i tempi incoraggerebbe flussi migratori eccessivi e indebolirebbe l’integrazione reale». |
Chi sta con il SÌ e chi con il NO
Quesito | Favorevoli al “Sì” | Contrari (“No”) | Nodi del dibattito |
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1 – Tutele crescenti | CGIL, PD, AVS, sindacati di base | Confindustria, FdI, Lega, FI | Reinserire la reintegrazione scoraggerebbe licenziamenti abusivi vs creerebbe incertezza per le imprese |
2 – Tetto indennità micro-aziende | CGIL, giuslavoristi progressisti | Confartigianato, CNA, centro-destra | “Stesso diritto per tutti” vs rischio di costi imprevedibili che colpiscono le piccole realtà |
3 – Contratti a termine | CGIL, opposizioni sinistra, reti precari | Confcommercio, settori turismo, Lega, FI | Stop alla precarietà “a rotazione” vs flessibilità indispensabile per lavori stagionali |
4 – Responsabilità appalti | Sindacati confederali, M5S, associazioni vittime lavoro | ANCE, FdI, Lega | Più prevenzione e selezione in sicurezza vs oneri e contenziosi per chi appalta |
5 – Cittadinanza 5 anni | +Europa, PD, AVS, molte ONG, parte M5S | Lega, FdI, parte FI | Standard europeo e inclusione vs timore di “facilitare” flussi eccessivi |
Come si vota in pratica
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Ricevi cinque schede (una per quesito).
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Per abrogare la norma: croce sul Sì.
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Per mantenere la norma: croce sul No.
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Scheda nulla se lasciata in bianco o segnata in modo non valido.
Il significato politico
I quattro quesiti sul Jobs Act chiedono di redistribuire rischi e tutele: reintegra per licenziamenti senza giusta causa, indennizzi adeguati anche nelle micro-aziende, causali obbligatorie per i contratti a termine e responsabilità in solido negli appalti. Sullo sfondo: precarietà diffusa e recrudescenza degli infortuni, che hanno riproposto il tema di “chi paga” quando qualcosa va storto.
Il quinto quesito, pur diverso per materia, parla la stessa lingua: inclusione. Ridurre a cinque anni il requisito di residenza significa passare da una logica di attesa decennale a quella – più europea – di diritti effettivi per chi già contribuisce alla collettività.
Chi difende le norme esistenti evoca la flessibilità (per le imprese) e la prudenza (sulle naturalizzazioni). Chi vuole abrogarle ribatte con un’idea di welfare attivo: più certezze ai lavoratori, più sicurezza nei cantieri, percorsi di cittadinanza meno arbitrari.
Un referendum che parla di lavoro, diritti e comunità
Il doppio filo che unisce i quattro quesiti sul lavoro e quello sulla cittadinanza è la tutela delle persone dentro trasformazioni economiche veloci.
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Sul versante Jobs Act, chi sostiene il SÌ non propone nostalgie novecentesche, ma chiede di riequilibrare un mercato che dal 2015 ha spostato il rischio d’impresa sui lavoratori: meno reintegro, più contratti a termine, minori responsabilità per la “catena” degli appalti.
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Sul versante cittadinanza, tagliare l’attesa a 5 anni significa riconoscere come “membri a pieno titolo” centinaia di migliaia di persone che già studiano, lavorano, pagano le imposte in Italia.
Chi teme costi o “invasioni” invoca la flessibilità produttiva e la difesa dell’identità nazionale; chi spinge per il SÌ richiama l’idea che un’economia solida e un tessuto sociale coeso nascono da diritti certi e inclusione, non dalla precarietà permanente o da cittadini di serie B.
Il referendum dell’8-9 giugno è meno tecnico di quanto sembri: è un test sul modello sociale italiano. Da un lato c’è la visione per cui competitività significa margini di libertà ampia per il datore di lavoro e tempi lunghi per chi chiede di diventare cittadino. Dall’altro, l’idea che l’economia funzioni meglio quando il rischio è condiviso e i diritti riconosciuti a chi ne è parte da anni.
Qualunque sia l’esito, il referendum interroga il Paese su quale modello di welfare e di cittadinanza intenda adottare nei prossimi anni: un modello che redistribuisce rischi e opportunità, oppure uno che lascia lavoratrici, lavoratori e nuovi italiani in una zona grigia di garanzie minime. Votare Sì o No significa scegliere quanto spazio dare, nel prossimo futuro, alla tutela del lavoro e del welfare inclusivo. Ma la prima scelta sarà andare alle urne: senza quorum, il dibattito resterà lettera morta.
Per saperne di più: i testi completi dei decreti di indizione pubblicati in «Gazzetta Ufficiale» n. 75/2025; il comunicato della Corte costituzionale (20 gennaio 2025) con la decisione di ammissibilità; le schede di sintesi del Ministero dell’Interno e il portale della CGIL dedicato ai quesiti sul lavoro. Per un’analisi tecnica, si vedano il dossier del Servizio Studi della Camera e la nota breve del Senato; il Dipartimento Affari Giuridici di Palazzo Chigi riunisce ulteriori materiali ufficiali. Commenti specialistici sono disponibili sul sito dell’Associazione Nazionale Giuslavoristi Italiani (quesiti lavoro) e dell’ASGI (quesito cittadinanza).