Il Logo che mangia tutto
di SKA su ControInformazione il 2 Agosto 2011
Segnalazione tardiva per coloro che non hanno potuto leggere Internazionale cartaceo o non sono passati dal sito. In dieci anni la cultura del marketing e del branding si è evoluta, affinata ed ha continuato ad ingurgitare tutto. Compresi gli Stati Uniti, intesi come governo.
No logo dieci anni dopo
La cultura delle multinazionali non governa solo i centri commerciali. Detta legge a Washington e alla Casa Bianca. E ha creato un presidente-marchio che produce gadget e false speranze. Il cambiamento deve venire dal basso.
Nel maggio del 2009 la vodka Absolut ha lanciato una nuova serie limitata: no label, senza etichetta. Kristina Hagbard, la responsabile delle pubbliche relazioni dell’azienda, ha spiegato: “Per la prima volta abbiamo il coraggio di affrontare il mondo completamente nudi. Presentiamo una bottiglia senza etichetta e senza logo per veicolare l’idea che l’aspetto esteriore non conta, l’importante è il contenuto”.
Qualche mese dopo anche la catena di caffetterie Starbucks ha inaugurato il suo primo negozio senza marchio a Seattle, chiamandolo 15th Avenue E Coffee and Tea.
Questo “Starbucks nascosto”, come lo chiamavano tutti, era arredato in uno stile “originale e unico”. I clienti erano invitati a portare la loro musica preferita da trasmettere nel locale e a far conoscere le cause sociali a cui tenevano di più: tutto per contribuire a creare quella che l’azienda ha definito “una personalità collettiva”. I clienti dovevano sforzarsi per riuscire a trovare la scritta in piccolo sui menù: “Un’idea di Starbucks”. Tim Pfeiffer, uno dei vicepresidenti dell’azienda, ha spiegato che, a differenza dello Starbucks che occupava prima gli stessi locali, quello era “proprio un piccolo caffè di quartiere”. Dopo che per vent’anni aveva cercato di mettere il suo logo su sedicimila punti vendita in tutto il mondo, Starbucks stava cercando di sfuggire al suo marchio.