Referendum 2025: perché il quorum è diventato un boomerang e come altri Paesi lo hanno superato
di SKA su Notizie Commentate il 11 Giugno 2025

L’8-9 giugno gli italiani avevano a disposizione uno strumento costituzionale dirompente: cinque referendum abrogativi su licenziamenti, contratti, sicurezza negli appalti e cittadinanza. In teoria, la consultazione avrebbe potuto correggere scelte legislative cruciali del decennio scorso; in pratica, si è trasformata nell’ennesima prova di forza sull’affluenza. Con un misero 30,6 % di votanti – venti punti sotto la soglia richiesta – il referendum è naufragato senza nemmeno entrare nel merito.
Per i promotori (CGIL, PD e +Europa) è stata una sconfitta aritmetica; per il governo, che non ha fatto campagna ma ha lasciato intendere il proprio disinteresse, un successo tattico. Eppure il dato più interessante non è la vittoria o la sconfitta di un «campo», bensì la conferma che il quorum di partecipazione previsto dall’articolo 75 della Costituzione sta svuotando di senso l’istituto referendario: chi teme l’abrogazione gioca la carta dell’astensione, chi la propone si trova a combattere contro il silenzio prima ancora che contro il dissenso.
Per il governo Meloni, che non si era speso apertamente ma aveva guardato con sospetto all’iniziativa, la scarsa partecipazione è un successo tattico. Eppure proprio questa débâcle riapre un tema più grande: ha ancora senso mantenere il quorum?
Il movimento “Basta Quorum”
Non stupisce che, alla vigilia del voto, una rete di giuristi, amministratori e attivisti abbia presentato in Cassazione la proposta di legge costituzionale “Basta Quorum!”, chiedendo di cancellare la soglia del 50 %. L’argomento è semplice: un quorum così alto incentiva il boicottaggio passivo e trasforma l’astensionismo in un diritto di veto per le maggioranze di turno. In altre parole, più che uno strumento di garanzia popolare, il quorum è diventato uno scudo per il legislatore, un meccanismo che permette di disinnescare qualunque tentativo di modifica normativa dal basso senza neppure entrare in campagna elettorale.
Chi sostiene l’abolizione non ignora il timore che una minoranza motivata possa decidere per tutti. Ma rovescia la prospettiva: senza quorum, anche i contrari avrebbero interesse a esprimere un voto negativo, riportando la dialettica sul terreno del merito e non su quello dell’astensione strategica.
L’argomentazione dei promotori è doppia:
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Sapere in anticipo che basta disertare per cancellare il referendum incentiva l’astensionismo strategico e trasforma la consultazione in un’arma tattica dei partiti di governo.
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Senza quorum la posta torna a essere alta: chi è contrario deve andare alle urne e votare “no”, invece di puntare al divano.
L’Europa senza soglia
Il confronto internazionale offre argomenti robusti. Gran parte dei Paesi europei non prevede quorum di partecipazione nei referendum nazionali; dove esiste, la soglia tende a essere progressivamente ridotta o a scomparire. La tabella seguente fotografa la situazione nei principali ordinamenti:
Paese | Quorum di partecipazione | Note sullo strumento |
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Francia | Nessun quorum | Il referendum previsto dagli artt. 11 e 89 della Costituzione è vincolante con la semplice maggioranza dei voti espressi. |
Irlanda | Nessun quorum | Referendum obbligatorio per ogni emendamento costituzionale; altissime campagne di informazione parlamentare. |
Regno Unito | Nessun quorum | Dal 1975 in poi ogni consultazione (compresa la Brexit) è valida a prescindere dall’affluenza. |
Svizzera | Nessun quorum di affluenza; doppia maggioranza popolo-cantoni | L’assenza di soglia non ha mai impedito partecipazioni superiori al 40-45 % sulle questioni più rilevanti. |
Spagna | Nessun quorum | Referendum statale consultivo (art. 92 Cost.); il Parlamento decide sulla base del risultato politico. |
Portogallo | Nessun quorum | Il referendum è consultivo; i governi lo usano per riforme sensibili (eutanasia, identità di genere). |
Polonia | Quorum 50 % | Negli ultimi trent’anni, due referendum su tre sono risultati nulli per scarsa affluenza. |
Croazia, Lituania, Slovacchia | Quorum 50 % | L’astensionismo strategico è la regola: raramente la soglia viene raggiunta. |
Italia | Quorum 50 % + 1 | Dal 1995 la soglia è stata superata una sola volta, nel 2011. |
La comparazione mostra che l’assenza di quorum non paralizza la democrazia: in Francia o in Irlanda chi è contrario a una proposta referendaria si mobilita e vota “no”, anziché contare sui non votanti. In Svizzera, dove la democrazia diretta è parte del DNA istituzionale, l’affluenza si stabilizza comunque su valori non marginali; e l’argomento per cui «basterebbe una minoranza estremista» di fatto non trova riscontro empirico.
Cosa cambierebbe davvero senza quorum
Cancellare la soglia non garantirebbe affluenze record, ma modificherebbe gli incentivi:
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I favorevoli alla norma attuale non potrebbero più boicottare, ma dovrebbero convincere l’elettorato.
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I media sarebbero costretti a coprire i contenuti, non l’eterna diatriba sull’“andate o non andate a votare”.
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Gli elettori incerti saprebbero che il loro voto pesa comunque e non verrebbe annullato da un quorum mancato.
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Più responsabilità degli elettori: il risultato dipenderebbe da chi vota attivamente, non da chi resta a casa.
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Fine dell’astensionismo tattico: maggioranze e opposizioni dovrebbero convincere i cittadini del merito, non dell’inutilità del voto.
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Possibile aumento dell’affluenza: il timore che “una minoranza decida per tutti” può spingere anche gli incerti a recarsi alle urne.
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Valore pedagogico: partecipare per dire “no” diventerebbe necessario, ridando centralità all’espressione di voto.
L’obiezione classica – «deciderebbe una minoranza» – ignora che, con il quorum, a decidere è già una minoranza di fatto: quella che scommette sull’astensione. Il punto non è l’aritmetica, ma la responsabilizzazione dell’elettore: se la posta in gioco è concreta, chi considera pericolosa l’abrogazione si mobilita; chi la ritiene giusta fa lo stesso. In una democrazia adulta, l’astensione dovrebbe rimanere un atto di disinteresse, non un espediente tattico.
Il trend italiano: una lunga fuga dalle urne
I numeri confermano che la “soglia del 50 %” ormai appartiene a un’altra epoca politica. Dal record dell’87,7 % nel referendum sul divorzio (1974) si è scesi al 54,8 % sull’acqua pubblica (2011) fino al crollo del 20,9 % sui quesiti sulla giustizia (2022). L’ultimo fine-settimana di giugno ha segnato un rimbalzo al 30 %, comunque insufficiente. Se il trend non cambia, continuare a indire referendum equivale a replicare un rituale vuoto.
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1974 (divorzio): 87,7 %
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1987 (nucleare e responsabilità giudici): 65 %
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1995 (mani pulite): 57 %
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2011 (acqua e nucleare): 54,8 %
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2022 (giustizia): 20,9 %
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2025: 30,6 %
Dal 1995 la soglia del 50 % è stata superata solo una volta (2011). Il trend suggerisce che, senza una riforma, il referendum abrogativo è destinato a diventare un guscio vuoto.
Tornare al merito
La crisi dell’affluenza non è solo un problema di quorum: è il sintomo di una carenza di dialogo pubblico sul merito delle questioni. I cinque quesiti di quest’anno toccavano temi sostanziali – reintegro, precariato, sicurezza sul lavoro, cittadinanza – ma il confronto si è arenato sulle strategie di voto. È qui che la proposta “Basta Quorum” diventa interessante: eliminare la soglia può essere un modo per costringere i partiti a parlare di norme e conseguenze, non di calcoli sulla partecipazione.
In un Paese segnato da bassa fiducia istituzionale e dal distacco generazionale dal voto, ridare centralità al referendum significa renderlo efficace. Non sarà sufficiente togliere il quorum: serviranno campagne informative neutre, finestre di voto digitali, un calendario referendario certo. Ma la soglia del 50 % resta il primo macigno da rimuovere, se si vuole che l’istituto torni a essere – come in origine – “la via del popolo” per correggere il legislatore, non il terreno di una guerra di logoramento sull’affluenza.
Guardare all’Europa mostra che l’assenza di quorum non annulla la democrazia, anzi la costringe a fare i conti con la partecipazione reale. In Francia, Irlanda o nel Regno Unito vota chi vuole cambiare e chi vuole conservare, senza il paracadute dell’astensione.
Il risultato dell’8-9 giugno non è dunque soltanto la sconfitta di CGIL, PD e +Europa. È il sintomo di un problema sistemico che altri Paesi hanno già risolto: spostare la competizione dall’astensione alla decisione. Finché non lo faremo, l’Italia continuerà a convocare plebisciti che nessuno potrà mai vincere.
Abolire il quorum in Italia potrebbe trasformare l’astensione da strategia in scelta di disinteresse e riportare il dibattito sulle questioni sostanziali: licenziamenti, contratto a termine, sicurezza, cittadinanza. Perché democrazia diretta non significa contarsi per misurare la forza propagandistica di un partito, ma decidere nel merito di norme che incidono sulla vita collettiva.
E decidere – in democrazia – è sempre meglio che disertare.