La civiltà è un femore rotto

di SKA su Cultura il 30 Giugno 2023

Un giorno, un giovane studente, colmo di curiosità e attese, si rivolse all’antropologa Margaret Mead con una domanda apparentemente semplice, ma ricca di implicazioni profonde: “Qual è il primo segno di civiltà che emerge in una cultura?” Il giovane, come molti di noi probabilmente avrebbero fatto, si aspettava risposte tangibili, legate a strumenti tecnologici primitivi come ami da pesca, vasi d’argilla o macine per il grano, simboli concreti di progresso.

Ma la risposta di Mead fu sorprendente e controintuitiva. Affermò che il primo segno di civiltà in una cultura antica era rappresentato da un femore rotto e poi guarito. A prima vista, questa risposta può sembrare sconcertante. Tuttavia, racchiude una profondità di significato che ci invita a riflettere su cosa significhi veramente essere civilizzati.

Nel regno animale, se una creatura si rompe una gamba, è destinata a morte certa. Incapace di sfuggire ai predatori o di raggiungere le risorse vitali, diventa una preda facile. Nessun animale sopravvive abbastanza a lungo con una frattura da consentire la guarigione dell’osso. La brutalità della natura non permette margini di errore o di vulnerabilità.

Al contrario, un femore rotto che guarisce rappresenta una testimonianza di cura e supporto. Significa che qualcuno è rimasto al fianco di colui che si è ferito, lo ha protetto, lo ha aiutato e sostenuto durante il processo di guarigione. Questa cura reciproca, questa solidarietà, costituisce, secondo Mead, il vero punto di partenza di ogni civiltà.

La visione di Mead ci costringe a riconsiderare le nostre metriche di civiltà. Nella società contemporanea, spesso misuriamo il progresso attraverso l’accumulo di beni materiali e tecnologici. Ma che valore hanno questi progressi se non siamo capaci di prendersi cura gli uni degli altri? Se la nostra civiltà non riesce a guarire e a sostenere i suoi membri più vulnerabili, possiamo davvero definirci civilizzati?

Il concetto di civiltà di Mead mette in discussione le fondamenta stesse del nostro pensiero. Ci invita a guardare oltre le superficialità del progresso materiale e a porre l’accento su empatia, amore e cura. In un’epoca segnata dal consumismo sfrenato e dallo sfruttamento delle risorse, queste parole suonano come una critica tagliente e, al tempo stesso, una guida per un futuro migliore.

Riflettendo su queste idee, emergono domande filosofiche profonde. Cosa significa essere veramente civilizzati? È possibile costruire una società sostenibile basata sulla cura reciproca anziché sulla competizione sfrenata? In un mondo sempre più frammentato e polarizzato, come possiamo coltivare la gentilezza e la compassione come tratti distintivi della nostra civiltà?

Queste domande richiedono un impegno sia personale che collettivo. Come individui, dobbiamo considerare il nostro ruolo nella costruzione di una società che abbracci i valori di cura e guarigione. Come comunità, dobbiamo lavorare insieme per creare spazi di supporto e solidarietà, promuovendo una cultura della cura che abbracci tutti i membri, senza eccezione.

Immaginiamo il femore rotto come una situazione di crisi o di sofferenza che può colpire chiunque in una comunità. È attraverso la risposta della società a questa situazione che emergono gli elementi essenziali della civiltà. Se la comunità riesce ad affrontare la situazione con empatia, supporto e cura, lavorando insieme per guarire il membro ferito, allora dimostra la sua civiltà autentica.

La guarigione del femore rotto rappresenta la possibilità di superare le divisioni e le barriere, di costruire connessioni significative e di creare un ambiente in cui ogni individuo è sostenuto e valorizzato. La metafora del femore rotto ci ricorda che la civiltà non si basa solo sulle realizzazioni materiali, ma sulla nostra capacità di prendersi cura gli uni degli altri e di guarire insieme.

In questa prospettiva, la società è vista come un organismo vivo, in cui ogni individuo è un membro importante che contribuisce alla salute e al benessere collettivo. La guarigione del femore rotto rappresenta la possibilità di trasformare le sfide e le difficoltà in opportunità di crescita e di sviluppo, sia per l’individuo che per l’intera comunità.

Attraverso la metafora del femore rotto, Margaret Mead ci invita a riflettere sul ruolo fondamentale della cura reciproca nella costruzione di una civiltà autentica. Ci spinge a considerare la guarigione non solo come un processo fisico, ma come un impegno sociale ed emotivo verso gli altri. La metafora ci ricorda che solo abbracciando la nostra vulnerabilità e coltivando la cura e l’empatia possiamo veramente costruire una società che valorizza la dignità e il benessere di tutti i suoi membri.

La visione di Mead ci offre un paradigma diverso per misurare il progresso e la civiltà. Ci invita a ripensare le nostre priorità e a riconoscere che la vera civiltà si manifesta nella capacità di una società di prendersi cura dei suoi membri, di sostenere i più deboli e di guarire insieme. 

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Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.