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Memorandum sulla situazione politica in Italia, documento sequestrato a M. Grazia Gelli nel 1982

1) La situazione politica italiana è caratterizzata da un alto livello di instabilità per il concomitante effetto di tre cause:
a) crisi economica gravissima per eccesso di pretese salariali, scarso rendimento sul lavoro, basso rapporto fra popolazione presente e forza di lavoro (36,5%), aumento dei costi delle fonti d’energia, fuga dei capitali all’estero per timore del futuro;
b) crisi morale profonda per l’errore compiuto soprattutto dalle componenti radicali e laiche della società civile nel ritenere maturo un paese con una storia come quella italiana ad essere elevato di colpo al livello nordeuropeo, mediante maldestre operazioni di mass media;
c) crisi politica nell’interno dei partiti stessi per le difficoltà di adeguarsi al cambiamento verificatosi nel corpo sociale che tende ad indentificarsi in un grande ceto medio, salvo una piccola fascia superiore di grandi reddituari ed una non ristretta fascia inferiore di sottoproletariato meridionale.
2) Conseguenza evidente dell’instabilità è la forte tendenza di ogni singolo cittadino ad una partecipazione più attiva alla vita pubblica, non per assumervi porzioni di responsabilità, bensì per desumerne fette maggiori di potere o di utile personale. Tale fenomeno è particolarmente visibile sulla scena sindacale ove le spinte di tipo settoriale (cosiddette corporative) risultino ingovernabili dalle centrali confederali costrette, il più delle volte, a cavalcare la tigre contro logica e ragione.
3) il difetto di leadership politica – ed anche sindacale – sta alle radici dell’anarchismo dilagante in ogni settore così come della fatiscenza delle istituzioni statuali le quali possono agire soltanto se un potere politico integro impone direttive chiare che vanno eseguite dagli agenti dello Stato con spirito di purezza rotariana nella consapevolezza di un servizio reso alla comunità nazionale.
4) I rimedi, che si profilano talvolta col titolo di operazioni di “ingegneria costituzionale”, rischiano in tale quadro di deteriorarsi al livello di meri palliativi.
Un sistema politico si regge infatti prima che sugli strumenti, sulle finalità che si pone, che riesce a trasmettere per impulsi al corpo sociale che vi acconsente, e che è capace di attuare in ragione della sua adesione ai valori morali di cui la collettività è permeata e, quindi, portatrice.
5) In altri Paesi – ed in tutte le epoche (Italia 1922 – Russia 1917 – Germania 1933 – Spagna 1935) – la concomitanza delle crisi morale, politica ed economica ha condotto all’instaurazione di regimi di ferro che in nome di questa o quella ideologia (ivi comprese le militaricrazie di cui sono costellate le carte geopolitiche) hanno imposto l’osservanza di valori morali vecchi o nuovi ed il riequilibrio delle economie nazionali al non lieve prezzo della libertà di scelta, in generale, dei cittadini. Fa eccezione la crisi francese del 1958 – pur così simile alla nostra attuale – ove la figura di De Gaulle e la presenza di una dirigenza amministrativa, politica, economica e militare di altissima qualificazione hanno potuto salvaguardare libertà e democrazia in un ordinamento che peraltro consente all’esecutivo di governare il Paese in chiave moderna. E se ne vedono gli effetti.
6) Non si vede come l’Italia possa sottrarsi a tale ineluttabile destino soprattutto quando si è in presenza di un PCI capace, meglio delle altre formazioni politiche, di rendersi interprete e protagonista dei cambiamenti verificatisi nella società civile (più per difetto di presenza degli altri partiti che per virtù proprie, salvo quella indiscutibile di sapere ben gestire pubbliche relazioni e pubblicità per cui il PCI riesce a contrabbandare per oculata amministrazione quel che è soltanto maggiore capacità di fare contrarre debiti agli enti locali che controlla). Un PCI, sia chiaro, che nasconde il suo vero volto ungherese e cecoslovacco con una maschera di perbenismo e di neoilluminimo liberale molto simile alla NEP di Leniniana memoria, ma del quale è ormai evidente il gioco delle parti nella manovra dei cosiddetti gruppuscoli. L’attuale silenzio di questi – in paragone del clamore ante 15 giugno – è infatti la più chiara riprova dell’esistenza di un piano al quale non dovrebbe essere estranea perfino la mano del KGB in certe efferate stragi troppo simili agli eccidi di Katyn o di Mauthausen per non fare temere che ne siano autori sovietici o tedeschi orientali.
7) D’altra parte va tenuto conto che lo sfaldamento delle altre forze politiche – prima fra tutte la DC – rischia di lasciare “in bando” alcuni milioni di voti conservatori e moderati. Questi potrebbero seguire i due milioni circa già affluiti al MSI-DN dopo il 1970, col risultato che una forte polarizzazione alle due estreme potrebbe provocare la scintilla di una guerra civile di tipo spagnuolo o, meglio, tenendo conto della natura degli italiani, di una progressiva degradazione della società civile verso un caos anarcoide di sommosse quotidiane. A questo punto, la soluzione di una “militaricrazia” all’italiana potrebbe non apparire del tutto impensabile quale unica alternativa al regime comunista.
8) Si deve infatti tenere presente che il quadro internazionale in cui si inserisce la situazione italiana non sembra consentire deroghe alla logica di Yalta, neppure per esperimenti di frontiera alla finlandese, e se ciò può sembrare confortante per un verso, non lo è per l’altro verso che la potenza dominante (USA) non appare indirizzata, a dispetto delle esperienze del sud-est asiatico, verso pazienti terapie di stile britannico. E ciò sia per ragioni strategiche immanenti (l’Europa è la retrovia dell’area petrolifera mediorientale, anche se non si sa fino a quando l’interesse alle fonti energetiche convenzionali potrà durare), sia per la pressione dell’opinione pubblica americana che certamente condiziona gli USA nei confronti di due Stati come Israele e Italia per l’esistenza di forti legami affettivi fra vasti strati di elettori dei tre paesi.
9) Tenue è quindi il filo che, nel prossimo avvenire, è destinato a legare le sorti del Paese al regime democratico, tanto più che, qualora venissero meno, per un motivo qualsiasi, le ragioni dell’attuale equilibrio fra USA e URSS, l’Italia sarebbe la prima nazione d’Europa a slittare verso est in modo irreversibile, salvo l’esito di un conflitto non auspicabile, come già accadde per il regime fascista.
10) Nei limiti in cui al pessimismo della ragione è possibile contrapporre l’ottimismo della volontà sembra però doveroso non adagiarsi nella rassegnazione e nello scetticismo ma tentare almeno di definire un piano concreto di ripresa che investa in pari modo le cause reali – più che quelle apparenti – delle tre crisi di fondo e che consenta di mantenere il Paese nell’area dell’occidente, della democrazia sostanziale (e non solo pluralistica) fondata sulla libertà di scelte economiche e politiche di ogni cittadino e su un esatto equilibrio fra libertà e giustizia sociale da rintracciare in meccanismi giuridici e fiscali ispirati al modello americano ove sembra che funzionino egregiamente nonostante la contraria propaganda.

Una ripresa democratica può nascere e svilupparsi – nell’ambito del sistema – in uno dei modi seguenti:

A) Attendendo fiduciosi l’arrivo del cosiddetto “stellone”: il miracolo cioè che caratterizza molte fasi della nostra storia e che suole prodursi quando in assenza di impulsi da parte dei ceti dirigenti o addirittura contro di essi, tutti i cittadini individualmente si rimboccano le maniche e riprendono a compiere i propri doveri chiedendo soltanto ordine e sicurezza.
E’ questa però un’ipotesi molto difficile a realizzarsi in quanto presuppone una crisi limitata a carenza di impegno individuale laddove le circostanze inducono a ritenere che – come si è visto – vi siano motivi, putroppo, di portata ben più ampia.
B) Creando od ispirando la nascita di due nuovi movimenti politici, uno di di ispirazione social-laburista ed uno di ispirazione liberal-moderata o conservatrice, capaci di attrarre le due classiche componenti di ogni moderna società articolata in ceti medi e non più in classi.
Si tratta in sostanza di riparare agli errori compiuti dai socialisti e liberali italiani che rappresentano il vero motivo dell’avvenuta polarizzazione dell’elettorato interno al PCI ed alla DC.
A nessuno può sfuggire che dette formazioni – l’una classista e l’altra interclassista – rivelano obsolescenza fin dal momento in cui fanno ancra uso di tali definizioni. Esse debbono il successo finora riportato: l’una – il PCI – alla sua capacità di mimetizzazione pseudoliberale in seno alla nuova società italiana composta di ceti medi; l’altra – la DC – all’influenza della Chiesa il cui declino ha fatto declinare anche il braccio secolare politico per difetto di autonomi impulsi culturali in entrata ed in uscita.
La nascita però di due nuovi movimenti politici i quali riaggreghino le componenti democratiche esistenti nelle due mezze ali sinistra e destra degli schieramenti attraverso scomposizioni e ricomposizioni successive non è cosa di poco costo e tempo e pone ardui problemi di direzione umana.
A parte l’elemento costo, non sembra possibile, entro il breve tempo che ci separa dalle elezioni del 1977, operare un miracolo del genere, col problema per di più di dover trovare uomini nuovi disponibili e preparati che ne assicurino l’esito positivo.
C) Non rimane quindi, nell’immediato, che puntare sulle componenti attuali del sistema in un ambito democratico che comprenda PCI, PSDI, PRI, DC e PLI con la possibile variente di una neoformazione di destra la quale permetta il recupero e lo scongelamento dei due milioni di voti moderati affluiti al MSI fra il 1971 ed il 1972. E’ certo che siffatta variante andrebbe fortemente colorita di antifascismo per evitare le inevitabili reazioni del PCI e dei suoi fiancheggiatori il cui precipuo interesse è oggi quello di non sciogliere affatto il MSI proprio perchè rappresenta un ottimo frigorifero di voti non utilizzabili in Parlamento per sostenere il sistema democratico. E’ chiaro, d’altra parte, che i sistemi liberi tendono all’equilibrio delle forze. L’assenza di una destra pulita obbliga la DC a movimenti pendolari interni ed esterni che la hanno finora logorata. Ove la DC rifiutasse l’abito moderato che le conferisce la natura dei suoi elettori almeno per il 70% il contrappeso al PCI si autogerminerebbe comunque quale condizione di equilibrio del sistema.
D) La crisi che travaglia il partito DC ha numerose componenti: il distacco della Chiesa e l’affievolimento del sentimento religioso nel Paese; lo scardinamento – irresponsabilmente tollerato in quanto prematuro – dei valori morali diffusi fino al 1960 nella società nazionale; la mancanza di una seria politica culturale che permettesse al partito di rendersi conto dei cambiamenti avvenuti nel corpo sociale in cui la tradizionale struttura in classi è stata sostituita, col benessere del miracolo economico, da quella in ceti medi; la natura di partito-apparato assunta negli anni ’50 per impulso di Fanfani senza curarsi di definire quelle strategie morali e politiche senza le quali ogni apparato tende a sopravvivere ad ogni costo, anche fagocitando se stesso; il conseguente correntismo – facilitato anche dal sistema elettorale fondato sulla rissa delle preferenze – e la corruzione che ne deriva, soprattutto ad onere dei dirigenti, per tenere in piedi le correnti necessarie a governare l’apparato o consistenti fette di osso; gli scandali a ripetizione, artificiosamente gonfiati dagli oppositori, sì, ma certamente reali come risultato degli errori di cui sopra; il difetto assoluto della capacità di instaurare un corretto rapporto con i managers della finanza, economia e industria al di là di occasionali accostamenti; analoga lacuna nella definizione di una politica della scuola da farsi sopratutto nella direzione di preparare buoni insegnanti e non già promuovere indiscriminate assunzioni di elementi mediocri attraverso malfamate leggine degli anni 50/60 (ci si chiede ancora perchè la DC, i cui amici controllavano negli anni ’60 le proprietà editoriali dell’80% della stampa italiana, non controllano più i giornali: la risposta è che si è fatta una politica dei trasferimenti azionari, ma non una politica dei giornalisti, al pari degli insegnanti); l’immane errore compiuto negli anni ’50 accettando la cosiddetta legge Terracini che, togliendo ogni vincolo alla urbanizzazione, costituisce certamente la vera matrice (ma nessuno osa dirlo) del dissesto delle finanze locali e dell’esplosione della delinquenza selvaggia nelle città.
Tutte queste concause sono dunque aggravate da quella, fondamentale, che il gioco reciproco degli scandali e delle lotte intestine fra i massimi dirigenti della DC ne ha provocato il reciproco stallo, posto che in una situazione di generale e vicendevole ricatto il non muoversi diviene l’unica via di sopravvivenza.
Rifondazione, quindi, e ringiovanimento della DC può significare soltanto virare di 180 gradi, escludendo la ripetizione degli errori compiuti e sostituendo – almeno per l’80% – tutta la dirigenza.
Rifondare il partito vuol dire anzitutto prendere atto della nuova realtà della composizione sociologica del Paese svelata dal referendum del 12 maggio – e cioè la sua “cetimedizzazione” – e quindi definire una strategia idonea che punti sulla restaurazione di valori antichi ancora saldi (come i concetti di famiglia e nazione) e sulla creazione di valori nuovi come quelli di una morale fondato sull’equilibrio fra diritti e doveri, sul principio del “neminem ledere”, sulla libertà di scelta economica quale presupposto di quella politica, sul dovere di solidarietà cristiana ed umana che ha inizio nel momento fiscale e così via.
Significa altresì verificare se l’apparato – malamente ispirato al modulo comunista costruito per una rivoluzione ora evolutiva ma all’origine esplosiva – sia o meno utile alla bisogna di un partito il quale si fonda sul consenso della grande opinione media che è indispensabile per i giochi di sezione e di tesseramento.
Donde scaturisce la necessità di costruire un nuovo assetto strutturale del partito articolato in clubs territoriali e settoriali destinati a funzionare come centri propulsori nel campo della propagazione dei quadri, non già quali funzionari di partito, bensì quali elementi da inserire nella società a livello di insegnanti, giornalisti, magistrati, funzionari pubblici e privati e così via.
Ringiovanire, significa che i meno compromessi dei dirigenti attuali dovrebbero farsi carico dell’eliminazione dei vertici nazionali e periferici, assumendo per proprio compito essenziale quello di ridare credibilità al partito presso l’opinione pubblica preparando la strada a nuove leve che, in un grande partito di opinione, non possono che venire dal mondo esterno – con l’obiettivo – nel medio e lungo termine – di utilizzare magari quehli stessi giovani che nel frattempo saranno stati preparati dagli istituti creati ad hoc.

E’ evidente che una ripresa della DC nella direzione e secondo le finalità sopra indicate deve tradursi in una serie di scelte politiche e di programma di governo.

Quest’ultimo soprattutto appare essenziale per i riflessi immediati che ha nella pubblica opinione la quale sembra in attesa di essere amministrata in modo almeno decente, con un minimo di coraggio e di responsabilità.

In nota a parte si è tentato di “raccogliere le idee” per un programma a breve termine e per un piano a tempi medi e lunghi, secondo le tre direttrici fondamentali delle politiche istituzionale, economica e sociale.

Qui basta dire che ogni operazione politica è destinata al successo se gli uomini che se ne assumono l’onere sono animati da buona fede ed ottengono credibilità.

E’ bene aggiungere, a mò di conclusione che se per raggiungere gli obiettivi fosse necessario inserirsi – qualora si disponesse dei fondi necessari pari a circa 10 miliardi – nell’attuale sistema di tesseramento della DC per acquistare il partito, occorrerebbe farlo senza esitare con gelido machiavellismo posto che “Parigi vale bene una Messa”. Su altro versante, ma con altrettanta fermezza, si deve tenere presente che l’unità sindacale in atto è la peggiore nemica della democrazia sostanziale che si vuole restaurare.

Sotto questo profilo qualunque spesa per provocare la scissione e la rinascita di una libera confederazione sindacale che raggruppi gli automi appare indispensabile se non addirittura pregiudiziale. Anche un costo aggiuntivo da 5 a 10 miliardi sarebbe poca cosa di fronte al risultato cui si tende.

Note

Sequestrato a M. Grazia Gelli nel luglio del 1982.

Leggi anche:
Il Piano di Rinascita Democratica della Loggia P2 (testo integrale sequestrato a M. Grazia Gelli nel 1982)

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Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.