Mi Scappa un Blog

di SKA su La dimanche des crabes il 29 Settembre 2004, 13:44

Forse non aveva tutti i torti Indro Montanelli nel classificare questa Italia come “la più brutta di sempre” e non perchè l’abbia detto un grande giornalista come lui, ma perchè è semplicemente vero. Un giornalista preso di petto da destra a sinistra e viceversa in base alla tendenza del momento : prima additato come fascista, poi comunista, poi di nuovo fascista e traditore che strizza l’occhio alla sinistra, ed infine, non sapendo più che pesci pigliare, terzista. Ovviamente il Sig. Montanelli era al di sopra di queste aride diatribe ed accuse quantomai comiche. Se n’è andato proprio nel peggiore dei momenti storico-politici del Belpaese (non il formaggio, ma quasi) battendo i pugni contro l’incredibile governo Berlusconi. Ma se n’è andato, l’Italia perde un grande pensatore. Sospiri di sollievo s’odono dall’ala italoforzuta e surrogati vari.

Berlusconi, e con lui tutta l’allegra brigata che poi si sente solo, non è chiaramente la causa del totale disfacimento di ogni qualsiasi valore che possa essere degno di tal nome, ne è solo una consequenza. La più fetida, sicuramente tra le peggiori, ma solo una consequenza. Perfino durante il regime fascista era ancora viva e vegeta una vena culturale, addirittura qualche valore. Fittizio, di facciata sicuramente, ma perlomeno coerente.

Questa è invece l’Italia delle Televisioni, un Telepaese in balia di ciò che viene trasmesso. Un paese che ancora crede che la “vera informazione” sia quella televisiva, che usa i giornali per pulire i cruscotti, ma che allo stesso tempo permette la stampa di giornali buoni solo per quello. Con una cupola di vetro che ci soffoca oramai ci beviamo tutto e tutto ci sta bene e guai a parlare di conflitto d’interessi in riferimento a quella sorta di regime mediatico in cui un privato possiede il 45% delle televisioni di livello nazionale ed è a capo di uno Stato che possiede il 99% delle azioni proprio della Tv di Stato. Guai a dire che il rischio è grosso. Demonizzatori, strumentalizzatori, Comunisti. E tutto torna a tacere. Continua a leggere »

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Giardini di mirò – punk…not diet!

di SKA su Cultura il 28 Settembre 2004, 00:12

Acqua nuova nei Giardini di Mirò. Scontate metafore naturalistiche a parte, il gruppo emiliano esce nel 2003 con la loro ultima fatica musicale (o perlomeno lo è nel periodo di questo scritto). “Punk…not diet”, è questo il titolo dell’album: improbabile quanto la copertina ad esso annessa, ma per molti tratti sconvolgente.

Innanzitutto per il cambio di rotta che in molti episodi di queste 9 tracce predigile maggiormente il protagonismo vocale a quello strumentale; non si può dire certo che il gruppo non ottenga egregi risultati, soprattutto ascoltando la doppietta iniziale con la splendida ed emotivamente interpretata da Alessando Raina “The swimming season” introdotta dal recitato di Ronnie James in “Too much static for a beguin”.

Intrecci di tromba, clarinetto e sax sono contenuti nella traccia come monito a quella critica spicciola che vorrebbe etichettarli come turisti della musica, artisti che prenderebbero spunto da generi e strumentazioni differenti per inserirle sommariamente in un unico prodotto finale, tanto per dimostrare proprio a quella critica di essere in grado di spaziare nell’universo musicale. Superficialità e presunzione sono i termini adatti a quel “popolino” che si spinge a dare conclusioni così comicamente vacue. I Giardini di Mirò sono pienamente consapevoli di cosa vanno a comporre e proporre, è tuttavia inammissibile pensare che un gruppo per essere artisticamente riconosciuto debba tristemente relegarsi (o essere relegato) dietro un’etichetta di genere o ricalcare le proprie orme, nonostante esse abbiano portato successo.

Per questo è un clamoroso errore paragonare a o aspettarsi un nuovo “The rise and fall of academic drifting”. La poliedria artistica e musicale dei GdM li porta a spaziare dal post-rock emozionale, al folk, al pop, a sprazzi di delicata elettronica per giungere ad un unico prodotto pensato nei dettagli e coerente in tutta la sua durata, nonostante le plurime contaminazioni. Non ci soffermeremo molto nella cronaca di ogni brano, perchè sarebbe operazione inutile e non renderebbe giustizia agli artisti; citeremo soltanto “Given Ground (Oops… Revolution On Your Pins)” perchè scelta come singolo in cui è la voce di Raina a dominare ancora con il sottofondo corale di Kaye Brewster e la sempre attraente chitarra noise. Abbiamo cercato di spogliare questa scarne righe da tutte le baggianate musicofile che vanno ad inventarsi i pseudo-esperti per dare al lettore una vaga linea descrittiva del disco, che non può comunque mancare nella discografia e nel bagaglio culturale e musicale di chi ascolta o fa musica.

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P.G.R. – D’anime e D’animali

di SKA su Cultura il 15 Settembre 2004, 00:09

Resistono i PGR, anzi, resiste Giovanni Lindo Ferretti con la sua caparbia determinazione di uomo arcaico e monastico lanciato un po’ per caso in questo mondo di uomini. Storie di uomini che possono incontrarsi o lasciarsi. Ed è questo il caso di Ginevra di Marco e Francesco Magnelli che abbandonano la nave in odore di arenamento. “Chi c’è c’è chi non c’è non c’è” recitava Ferretti in tempi non sospetti, anche se a lui la rima riesce meglio. Ad esserci ci sono ancora Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Giovanni, 3 G che formano il nuovo acronimo PGGGR (Però Gianni Giorgio Giovanni Resistono) che è anche la 10 traccia di questo D’anime e D’animali. E con loro resistono, con tanto di cappello, la tenacia con cui si mettono in gioco ogni volta e quella veemenza dei vecchi CCCP e dei migliori CSI. Un disco rock senza troppi fronzoli, nato di getto dopo il forfait di Magnelli e Di Marco, da un fascicolo (“Orfano di Sinistra”) scritto col pugno e carico di rabbia. Sarà che il terzetto ha raggiunto una maturità spirituale ed artistica indipendente dalla pesante eredità Cccp-Csi : Maroccolo con Acau il suo primo progetto solista, Canali con il suo arrabbiato RossoFuoco e Ferretti con la sua scuola d’Arte a Bologna. E’ con questa consapevole maturità che compongono le tracce: nessuna leggerezza elettronica, nessuna divagazione stra-colta ad appesantire testi già crudi di loro, ma anzi un’inedita dolcezza in pezzi autobiografici come I miei nonni o Cavalli e Cavalle. Non che Ferretti sia diventato improvvisamente un idolo del Pop, leggiadro e spensierato, questo mai : Giovanni è sempre duro e profondo, doloroso e greve. Ora anche di più. Si diverte ad addentrarsi nell’amore carnale con Tu e Io, poi passa a un testo politicamente forte, Casi difficili, nel quale incontriamo la novità di una contaminazione Pop nel reale significato di “popolare” tramite l’utilizzo della tamorra, brano in cui critica l’assurdità di un certo volontariato e provoca : “Se il mondo non vi piace, arruolatevi!”. “Fottiti tecnica, vaffanculo impianto, comincia la festa” ritornello di Alla Pietra, il singolo distribuito in Rete, sembra l’inno di un ritorno alle origini, diretti ed efficaci, ai tempi di quando preferivano il mondo “giovane e forte, odorante di sangue e fertile” come declamava Ferretti nei CSI. Abituati agli ultimi bei lavori l’assenza di una voce femminile e del piano si fanno sentire, eppure non si fanno desiderare. Un lavoro che scorre facile alle orecchie, forse troppo, ma si tratta pur sempre di una nuova metamorfosi, starà a loro decidere se di transizione o di arrivo.
Tracklist :
01. Alla pietra 9 luglio 2003 (disponibile in Streaming)
02. Casi difficili
03. Divenire
04. Orfani e vedove
05. Tu ed io
06. I miei nonni
07. Io e te
08. Cavalli e cavalle
09. S´ostina
10. P.G.G.G.R.
11. Si può
articolo scritto per e tratto da impattosonoro.it

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Sparta – Wiretap Scars

di SKA su Cultura il 14 Settembre 2004, 00:14

Cronologicamente parlando sono i secondi geniti della spaccatura degli At The Drive-in. Orfani della grande voce di Cedric Bixler e delle follie musicali di Omar Rodriguez approdati nei “The Mars Volta”, gli Sparta non concedono però all’ascoltatore nessun tipo di rimpianto.

Sono evidenti i tratti musicali che provengono direttamente dal precedente progetto anche se diminuiscono le sperimentazioni e protagonismi strumentali, lasciando spazio ad un prodotto più omogeneo e globalmente più melodico. Alcuni dei pezzi provengono direttamente dal recente EP “Austere”, con la potente “Mye” che riprende le fila dell’Emo o Post Punk caricandolo di una rabbia che Jim Ward riesce a trasmetterti direttamente nelle vene, così; come anche l’opener “Cut your Ribbon” o “Glasshouse Tarot”.

Ma sarebbe limitativo ascoltarli e comprenderli soltanto in paragone agli ATDI, gli Sparta sono un’ottima band che riesce in molti episodi a discostarsi da melodie già sentite e riproposte. Ne sono un esempio la bellissima “Cataract”, con un’atmosfera fuori dal tempo, emotività alle stelle accompagnata da una batteria foderata di piatti che va ad aprirsi accompagnata da chitarre distorte e potenti nel chorus.

Un ritorno alla smarrita pratica dei cambi secchi tra linee indie e hard-rock, accompagnata da una nuova armonia ed ottime basi melodiche, con Jim Ward come fulcro di questo progetto. Poca elettronica, quanto basta per arrotondare la grezzità dei suoni, ottime ritmiche provenienti dalla batteria che si circoscrive anch’essa in quell’omogeneità che accompagna l’intero disco, senza quelle ribellioni che eravamo soliti ascoltare nel passato.

Abbiam fatto riferimento ad una nuova melodia, ne è manifesto la splendida “Collapse” : lenta e malinconica nella sua rabbia, ipnotica nel finale. Dolce armonia anche in “Red Alibi” e trionfale ingresso del pianoforte in “Echodyne Harmonic”.

Da fan dei defunti At The Drive-In non posso certo non elogiare questo album, che fa balzare le orecchie indietro di qualche anno scoprendo la bellezza di questo disco di un Rock all’apparenza defunto. Non sarà di certo nella Top Ten dei migliori album della stagione, ma vi assicuro che vale veramente la pena averlo.

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di SKA su La dimanche des crabes il 12 Settembre 2004, 23:56

Dolce risveglio stamani, con gli occhi ancora incollati dal cemento ti ho pensata.
Non è strano, lo so.
Succede ogni mattina eppure ogni volta sembra la prima ed invio un grazie lassù,
in alto, nei pressi delle nuvole.
Qualcuno ci sarà a raccoglierlo.
Chissà perché manchi sempre troppo al fragile ragazzo
dipinto fra i riquadri di questo specchio che ho di fronte.
Ho le mani di carta
prendono fuoco ogni volta che penso di scriverti,
così ti penso, ti rido, ti cerco negli antri della mente.
Pensarti, già ??
in questa felice paura della vita inizio la mia danza,
danzo attorno a te
esibizionista
ridicolo
e folle come una lacrima sul volto d’un idiota. Forse sono io. Il giorno passa in fretta, onestamente troppo,
tanto che devo colmare l’attesa dopo il crepuscolo nell’implorare
la luna e le stelle di riportarmi la tua immagine nei sogni
e nella speranza che in questa notte la notte fermi il tempo.
Perché sei bellissima e questa notte non deve finire mai. Forse dovrei parlare d’amori, d’emozioni e degli altri demoni di Marquez,
invece in questo giorno non riesco a pensare ad altro che a Te.
Forse sono malato.
Ed allora sorrido, perché conosco già la cura,
perché so che mi farà star sempre bene,
perché so che è la cura più dolce di tutte. E’ vero, sto sorridendo.
Anzi no, sto ridendo.
O perlomeno lo sta facendo il ragazzo dello specchio,
quello che aveva paura di sentirsi felice,
che non credeva si potesse amare così tanto.
Quello che non voleva piangere perché doveva essere indifferente.
Ma come si fa a nascondere ciò che si è?
Al diavolo?? Sì, oggi sono felice.
E lo scrivo per tenerlo sempre a mente,
perché il Pierrot Scuro qua davanti mi ha stufato
e perché non potrebbe essere altrimenti assieme a Te Ti amo, ma anche questa non è una novità .
Sarebbe però imperdonabile non pensarlo, dirtelo, scriverlo
O anche solo immaginarlo
prima del tramonto di ogni giorno, mese o anno passato con Te. Sono qui per ricordarcelo, entrambi.
E magari riderne un giorno, chissà .

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Tool – Lateralus

di SKA su Cultura il 11 Settembre 2004, 00:16

A ben 5 anni dall’uscita di AEnima, considerato una pietra miliare del rock e prog-rock degli anni ’90, esce Lateralus che contribuisce a dare una nuova sferzata di fresco nel panorama musicale, ma soprattutto a sancire una maturità artistico-musicale alla portata di pochi.

Premettiamo col dire che siamo parlando dei Tool, bisogna perciò necessariamente partire dal presupposto che non si sta parlando di una band normale, ma di un oggetto completamente anomalo nel panorama musicale contemporaneo rispetto al quale ogni paragone con altri gruppi può risultare fuorviante. Lateralus compie un passo coraggioso sia in ambito musicale, che nell’ambito della psicologia umana.

Indubbiamente la musica proposta dai Tool non è per tutti, non solo per la sua durezza, ma soprattutto per la sua estrema complessità interpretativa, rifiuta la consueta “forma canzone” (ritornello-strofa-ritornello) creando dei brani in continua evoluzione e dalla durata media di 7-8 minuti (quasi fossero mini-opere). Di certo la loro musica può non piacere a tutti, ma di certo non lascia indifferente l’ascoltatore.

I Tool sono cresciuti ed hanno imparato a formalizzare il loro flusso di emozioni, sublimato in una musica comunque sempre introversa. Oggi i Tool scrivono canzoni che stanno in piedi da sole, pur non negando la complessita` strutturale che da sempre accompagna la loro proposta. “.

Tutto il disco é strutturato sul concetto di `crescendo`: i brani partono quietamente per poi decollare in progressioni irresistibili. “Schism”, canzone simbolo dell’album, che mischia una sorta di arpeggio sincopato eseguito dal basso con una chitarra ambient, che rasenta, sul ritornello, un hard rock zeppeliniano basato su scale pentatoniche. Il tutto sfocia in un ponte psichedelico dapprima soft, poi incalzante fino a raggiungere un heavy metal accompagnato da riff di batteria di notevole complessità ritmica. Può venir presa come emblema di questo album caratterizzato da continue variazioni di stile e ritmiche, con il prodigioso lavoro del batterista Danny Carey che senza peccare di idolatria può venir tranquillamente considerato tra i maggiori esponenti del suo strumento.

Ne è un altro esempio “Parabola”, brano preceduto dalla mini-traccia “Parabol”, strutturato su una base ritmica dapprima in quattro quarti che si perde talvolta su ritmi dispari letteralmente allucinanti. Da ricordare pezzi come l’introduttiva e potente “The Grudge”, che unisce ad un metal durissimo, intermezzi di melodia che lasciano storditi, oppure la stupenda “The Patient” o ancora la deflagrante “Ticks and Leeches”.

Caratteristica globale del disco è il “crescendo” di tutti i pezzi, gli intermezzi ipnotici e le ritmiche tribali. I testi di Maynard James Keenan profondi e criptici dipingono paesaggi oscuri e apocalittici con frequenti riferimenti all’occultismo, alla morte, alla psicologia umana, al sesso ma anche alla matematica e all’astronomia e comunque in modo mai diretto, ma usando allusioni e metafore che si prestano a infinite interpretazioni. La voce di Keenan è sicuramente fra le più particolari e inconfondibili che si possano ascoltare; è impressionante la facilità con cui passa da una rabbia urlata a una pacatezza quasi mistica.

Sicuramente ha fatto tesoro della sua esperienza con gli A Perfect Circle e questo ha portato una maggiore attenzione alla melodia all’interno dei Tool. In conclusione, un disco da avere perché sarà ricordato per lungo tempo, se non come esempio, come un’opera d’arte irriproducibile.

articolo scritto per e tratto da impattosonoro.it

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Saddam, per brindare a un incontro

di SKA su Satira il 4 Settembre 2004, 22:20

Sulle note di un Di Capri ineditamente politicizzato torniamo sulle pagine del presumibilmente abbandonato Contralto Stonato. Lo facciamo con la sincera sorpresa della spumeggiante riapparizione del Dittatore de No’ antri. Trattasi del solito botto con sorpresa Made in USA che, studiato con sagacia e prevedibile tempistica, riporta alla ribalta la brutta copia, drogata e rimbecillita di quello spietato e lucidissimo assassino dipinto come causa o giustificazione del frettoloso attacco in Iraq contro ogni concordato, convenzione o legge internazionale.

Breve inciso : Saddam E’ stato quello spietato assassino, HA usato gas omicidi per fare strage di iraniani e ceceni e per questo va indubbiamente punito. Ma il punto qual’è ? Che di questo assassino le solide democrazie occidentali se ne sono accorte dopo 25 anni come risvegliate dal torpore. Che eroi. La farsa di queste simil-democrazie real-petrolifere spero sia oramai cosa risaputa da molti (tutti sarebbe pretendere onestamente troppo, dato il sistema “d’informazione” a tutt’ora vigente), quindi dovrebbe essere risaputo che le decine di contratti sugli oleodotti Irakeni (o Afghani) dovevano essere conclusi senza bastoni fra le ruote e portati avanti con la tranquillità di una milizia armata alle spalle che potessse far da scudo (vedersi contratto Eni – italiana – a Nassirya…già , proprio la Nassirya dei “nostri eroi”) ormai Saddam era diventato un personaggio più inutile che scomodo come invece hanno affermato i molti simpatici figli del qualunquismo.

C’era bisogno di un governo democratico che garantisse per l’Iraq, ed ecco che questo viene imposto sempre democraticamente dagli USA per gli Irakeni nella figura di Ciccio Formaggio Allawi, vecchia conoscenza statunitense.

Perchè?
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Bananas di Marco Travaglio

di SKA su Cultura il 5 Giugno 2004, 22:16

Un anno di cronache tragicomiche dallo stato semi-libero di berlusconia
Con la sincera speranza che gli attuali “signori governanti” tengano fede al nome dato alla proprio coalizione, “Casa delle Libertà ” e non vadano a ficcare il naso, o qualche altro organo (per lo più istituzionale), anche fra queste pagine che si avvalgono dei sacrosanti diritti costituzionali di “Libertà d’opinione e di Stampa”, andiamo a parlare oggi del libro di Marco Travaglio : “Bananas”.

Il trentanovenne Marco Travaglio inizia la sua carriera tra le file di Montanelli a “Il Giornale” poi a “La Voce” passando per “Il Messaggero”, “Il Giorno”, “L’indipendente”, attualmente scrive per “Repubblica” , “L’espresso”, “Micromega” e “L’Unità “. Proprio quest’ultima ospita la fortunata rubrica “Bananas”, curata proprio dall’autore e di cui questo volume raccoglie un’ampia scelta. Travaglio racconta con intelligente ironia le tragicomiche vicende della recente cronaca politica-giudiziaria. Tragica perchè non ci sarebbe proprio niente da ridere quando si va a leggere delle menzogne, degli opportunismi ed i voltafaccia tipici di questi politicanti dalla memoria corta. Sarà l’aria viziata del Parlamento a far mancare ossigeno al cervello, anche se è difficile crederlo visto che loro, al Parlamento, ci stanno ben poco.
Comica perchè, proprio per gli stessi motivi, non si può far altro che sbellicarsi dalle risate. Per lo più risate amare, ma pur sempre a pieni polmoni.

L’assolutamente documentato Travaglio ci apre gli occhi su strade adeguatamente nascoste e taciute dai circuiti d’informazione nazionale (o “legalmente riconosciuti” per dirla con le ultime simpatiche uscite parlamentari sul tema della censura di programmi televisivi) non tanto per paura di ritorsioni (il che sarebbe assolutamente legittimo in uno stato Democratico) bensì perchè alle dipendenze proprio del Capo dello Stato Democratico. Guarda un po’.
E quindi, sentenze alla mano, si svela l’iter giudiziario (a molti ancora, incredibilmente, ma verosimilmente sconosciuto) del Presidente del Consiglio, dei suoi amici di partito, degli ispiratori politici ex-militanti di DC e PSI, di fratelli, consociati, avvocati e quel simpatico “fattore” della villa di Arcore indagato per reati veniali come l’associazione mafiosa. Tutti indagati, imputati, condannati. E’ sempre stato difficile processarli magari, ma per fortuna ora c’è la legge Cirami che getta un bel colpo di spugna sui delinquenti e le noiose pratiche giudiziarie. Tutto diviene magicamente semplice, i processi ora si evitano “ante litteram” e si sta tutti allegramente a zonzo con istanze che vanno da Roma a Milano a Brescia eccetera eccetera eccetera… Si sa, i magistrati e i giudici non sono altro che un covo bolscevico ed è quindi giusto tenerseli ben lontani. Se non altro per salvaguardare i nostri bambini dalle loro mandibole.
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WTF?

Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.