Terzo capitolo nella saga del “Cerchio Perfetto”, che esce ad una distanza relativamente breve dal precedente Thirtheenth Step. Si è parlato di un disco registrato “in fretta” per uscire dalle morsa contrattuale della Virgin, gli artisti parlano di un disco nato dall’esigenza di “una raccolta di canzoni su guerra, pace, amore e avidità ” come spiega Keenan in una delle prime interviste ufficiali. A noi piace sposare la versione ufficiale che è indubbiamente quella che più si addice ai contenuti di eMOTIVe. E perciò partiamo col dire che proprio di una raccolta si tratta, una significativa rielaborazione di classici della protesta che fa di questo disco un concept-album reso eccentrico e sinistro, quasi infernale, terrorizzante. Ne è esempio lampante la calma e speranzosa Imagine di John Lennon estirpata dalla nostra memoria con le tenaglie e resa agonizzante dalla rassegnazione nella voce di Keenan e dal piano inacidito e straziante della riesumanta Paz Lechantin.
Il tutto viene anticipato dall’opener Annihilation targata 1982 e firmata Crucifix nel quale il sussurro angoscioso si annoda su minimali e precisi tasti giungendo alle orecchie come dall’oltretomba, invisibile, a ricordarci che le guerre del nostro mondo civile sono il frutto di perversi progetti di uomini che si nascondono nella penombra delle stanze del potere. Magari un po’ enfatico e retorico, ma non fa male ricordarlo. Proporre un disco di covers è sempre rischioso soprattutto quando ci si cimenta con pezzi che sono nella storia di tutti, gli A Perfect Circle consapevoli della loro valenza musicale sono coraggiosi e vengono appagati da un buon prodotto finale che risulta a tratti molto originale e di carattere non senza alcuni passi falsi. In quest’album gli schemi saltano, la formazione cambia ad ogni episodio. Non ci sono protagonisti o prime donne, soltanto interpreti di un’unica opera che sa di teatrale nella sua coerenza contenutistica quanto nella varietà scenica e musicale.
In (What’s so funny ’bout) Peace, Love and Understanding di Nick Lowe e resa famosa da Elvis Costello troviamo un sorprendente Howerdell alla voce, il pezzo anch’esso rallentato ed un intercedere volutamente faticoso tende a sottolineare che non c’è proprio niente di divertente nella domanda posta nel titolo. Chi apprezzava gli A Perfect Circle per gli album precedenti rimarrà probabilmente perplesso all’ascolto di questo esperimento discografico, c’è ben poco del gruppo che si conosceva, è impossibile far paragoni con i loro stessi precedenti. Qui i tributi e le citazioni non stanno soltanto nella scelta dei titoli, ma soprattutto nelle musiche. Il largo uso dell’elettronica col marchio Danny Lohner ci fa camminare sui passi percorsi dai Depeche Mode, deviando per Aphex Twin o addirittura dai Massive Attack e Radiohead mantenendo tuttavia una linearità atmosferica coerente per tutti i 50′ dell’album, tetra e cupa. E’ questa l’aria che si respira anche in What’s going on di Marvin Gaye, sin troppo eterea forse, ma lascia concede respiro prima di tuffarci nell’altro stato d’animo del terrore : la rabbia.
E’ con Passive che finalmente si risentono le tipiche sonorità dei Circle, unico pezzo inedito del disco perchè effettivamente non era stato mai registrato precedentemente se non in un live col titolo di Vacant, esperimento dei mai nati Tapeworm. Nel magma infernale spicca per la sua incisività e tempistica da vera, nonchè unica, canzone nell’album. Le urla del ritornello di Passive continuano nel growl pesante di Gimmie Gimmie Gimmie dei Black Flag inframezzato da brevi momenti di riflessione per 2 minuti abbondanti di pura follia. People are People dei Depeche Mode e Freedom of choice dei Devo vanno annoverati come i pezzi peggiormente riusciti, il primo ricalca l’originale senza apportare nulla di nuovo mentre come la prova di far resuscitare la rabbia poetica anni ’80 dei Devo fallisce, sicuramente una prova coraggiosa che però non porta alcuna nuova intuizione musicale, limitandosi a rendere il pezzo soltanto più heavy.
Si torna nel caos con la chitarra frizzante e l’ansioso drum&bass di Let’s Have a War dei Fear, un classico del punk riproposto in una chiave quasi industrial. Come lo è d’altronde Counting bodies like sheep to the rhytm of the war drums che non è altro che il Remix di Pet contenuta in Thirtheenth Step, detto questo detto tutto. Come si è alzato nella rabbia il disco va a soffocarsi su sè stesso nel blues paradisiaco quindi antitetico When the Leeve Breaks di Memphis Minni ma resa famosa dai Led Zeppelin nel quale voci lontane si intersecano danzando sopra la bellissima suite al piano, ipnotico nella sua leggiadria fa quasi dimenticare del fardello che ci siamo appena lasciati alle spalle.
La musica si spegne e resta solo voce, la preghiera di Maynard in Fiddle of the drum di Joni Mitchell è commovente e lascia disarmati, piace pensare che sia proprio questo l’intento del messaggio conclusivo, scrollarsi di dosso la ferraglia, i rumori, i suoni e lasciare che sia soltanto l’anima delle persone ad uscire limpida ed in pace per farsi sentire senza la necessità di urlare.
Tracklist :
01. Annihilation
02. Imagine
03. Peace love and understanding
04. What’s going on
05. Passive
06. Gimmie Gimmie Gimmie
07. People are people
08. Freedom of choice
09. Let’s have a war
10. Counting bodies like sheep to the rhythm of the war drums
11. When the levee breaks
12. Fiddle and the drum
articolo scritto per e tratto da impattosonoro.it