Brand Journalism: raccontare l’azienda ed aumentare la brand awareness

di SKA su ControInformazione il 24 Aprile 2017

Brand Awareness

Qualche giorno fa stavo leggendo un lungo articolo, cartaceo, tratto dal The Independent in cui si faceva una sorta di riassunto ed al tempo stesso spiegazione di quelle che sono le tematiche del giornalismo attuale, collegate alle necessità delle aziende (e quindi del marketing).
Sono ormai oltre 15 anni (sic!) che mi occupo di web, digital marketing e giornalismo ed ho potuto toccare con mano l’evoluzione della materia giornalistica in funzione del tema di marketing ormai portante nell’ultimo decennio: lo storytelling.

Le aziende hanno compreso perfettamente ed inglobato nei propri piani di comunicazione il marketing narrativo, figlio di una duplice esigenza: gli strumenti si sono amplificati e l’utente/consumatore è più esperto, più difficilmente influenzabili da messaggi promozionali classici. Prendete ad esempio questi ultimi anni sui social network: è stato tutto un proliferare di Stories. Al di là del mezzo in sé il concetto di storia, narrazione, racconto di una porzione di vita personale o di un brand – perché Facebook/Instagram/Whatsapp vogliono chiaramente dialogare con i brand paganti – consentono un incremento delle vendite e della tanto agognata brand awareness.

Nell’epoca attuale ogni brand può diventare editore di se stesso e produrre contenuti rivolti direttamente alla propria clientela, reale o potenziale, attraverso tutti gli strumenti di comunicazione che sono a disposizione oggi: social media, blog, aggregatori, social network, magazine aziendali ecc…

Per riempire di contenuti questi strumenti si possono sfruttare due strategie: quelle del content marketing e quelle del brand journalism. La differenza tra le due potrebbe non essere così facilmente distinguibile, ma mentre la prima è creazione di contenuti per veicolare messaggi finalizzati alla vendita, la seconda è una strategia più ampia ed “onesta” per rivolgersi alle persone fornendo delle notizie utili – ad esempio – o per raccontare la storia del brand (ed è qui che ritorna lo storytelling). In questo caso parliamo di Brand Journalism.

Il giornalismo d’impresa ha ricevuto un impulso notevole intorno al 2004, ovviamente negli USA, ed è quel tipo di giornalismo rivolto alla comunicazione di tutto ciò che ruota attorno ad un brand – un marchio – con lo scopo di informare i lettori sulla storia aziendale. Per storia non si intende “una storia”, ma una raccolta di micro-narrazioni e quindi storie più piccole che messe insieme vanno a comporre un piano più ampio di costruzione – o ricostruzione – del marchio aziendale, aiutando a fornire tutti gli strumenti più corretti per identificare valori, principi e motivazioni dell’azienda di cui si sta parlando. Per dirla in termini di marketing: raccontare storie che abbiano la capacità di attrarre la domanda, utilizzando interessi ed emozioni come veicolo.

Tutto questo non è mera pubblicità, ma rientra in un contesto in cui il giornalista dovrà essere bravo a bilanciare le richieste dell’azienda con la
“corretta informazione, distinta e distinguibile dal messaggio pubblicitario” (tratto dalla Carta dei Doveri dell’Ordine dei Giornalisti).

L’abbiamo anticipato sopra: a cosa serve il Brand Journalism, quindi? Per la Brand Awareness: la promozione dell’immagine di marca.

Kotler fornisce la definizione più utilizzata di Brand, ossia “Il brand è un nome, un termine, un segno, un simbolo, o un disegno che identifica i prodotti o i servizi di un’impresa e li differenzia da quelli dei concorrenti”

La Brand Awareness non è altro che il livello di notorietà della marca all’interno del sistema di mercato di riferimento e può passare per 4 livelli solitamente riconosciuti: assenza di conoscenza del brand, il riconoscimento della marca, il richiamo della marca, Top of mind. Il Top of Mind è il livello maggiore di notorietà, ossia il brand che vi viene per primo in mente quando si parla di un determinato settore merceologico (pensate alle lamette da barba, con tutta probabilità vi sarà venuto in mente Gillette).

Il brand journalism avrà quindi come funzione primaria quella di incrementare la notorietà di marca tramite il racconto di storie legate la brand ed attraverso un utilizzo consapevole dei mezzi di comunicazione/canali offerti sia dal web che non.

Il giornalista o il professionista addetto non dovrà occuparsi solamente degli aspetti di mera scrittura dei testi, ma anche di un’attività di coordinamento globale di tutti gli strumenti – online ed offline – che abbiano come fine ultimo quello di incrementare la brand awareness dell’azienda o del prodotto. Gli altri metodi più efficaci e consigliati per raggiungere l’obiettivo sono:

Investire nel merchandising: il metodo di gran lunga più fruttuoso ed utilizzato è quello di creare gadgets e merchandising da poter sfruttare sia in punti vendita, che in eventi specifici. La strategia più efficace è quella della stampa magliette di www.gedshop.it al quale si possono aggiungere portachiavi, cappelli, peluches e quant’altro possa essere in tema con l’azienda.

– Investire nella creazione di eventi: si possono organizzare eventi aziendali in location esclusive, con l’invio di inviti personalizzati a target di persone potenzialmente interessate (o che sono già clienti).

– Lanciare una campagna PR: una massiccia campagna di pubbliche relazione sulla carta stampata è anche il momento in cui il brand journalism si sposa perfettamente con gli obiettivi aziendali. Ricevere una copertura da parte dei giornali, senza praticamente nessun costo, riesce a posizionare l’azienda o il brand in un settore narrativo diverso da quello prettamente “sponsorizzato” e per questo facilmente riconoscibile dal consumatore.

– Scendere in strada: può sembrare folle, ma per le compagnie che hanno come target il consumatore finale non c’è modo migliore per far accrescere la propria brand awareness che scendere in strada ed interagire con potenziali clienti. Non stiamo parlando dell’assalto al cliente tipico dei centri commerciali, ma attività di ambient marketing che coinvolgano artisti, organizzazione di flash mob, attività comunque creative per cogliere e mantenere alta l’attenzione dell’utente consumatore.

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Giornalista, web designer e pubblicitario. Da blog di protesta negli anni in cui i blog andavano di moda, questo spazio è diventato col tempo uno spazio di riflessione e condivisione. Per continuare a porsi le giuste domande ed informare se stessi.